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“Un’ultima telefonata a casa, poi uccidevano gli studenti cristiani con un colpo alla nuca”

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All’indomani della strage di studenti nel campus di Garissa compiuto dagli shebab somali, il Kenya piange i suoi ragazzi, in maggioranza cristiani. Il bilancio ufficiale delle vittime è salito ieri a 148 (142 studenti, 3 agenti e 3 soldati), ma mancano ancora molti giovani all’appello: secondi i salesiani, i morti potrebbero essere 200. I terroristi ieri sono tornati a minacciare nuove stragi e tra i cristiani cresce la paura, soprattutto in vista delle festività pasquali. Intanto, serpeggiano rabbia e polemiche per un attacco annunciato che a detta di molti poteva essere evitato. In rete la solidarietà con i keniani corre sotto l’hashtag #WeAreAllKenyans.

Come riporta Il Corriere della sera, dalle testimonianze dei sopravvissuti emergono particolari raccapriccianti sull’assalto. I cristiani venivano individuati anche “per come erano vestiti”, testimonia Salias Omosa, 20 anni, riuscita a scappare dopo aver assistito all’esecuzione di due amici. Gli assalitori, racconta, prima di sparare “hanno costretto i ragazzi a chiamare casa per dire: ‘Noi moriamo perché Uhuru (Kenyatta, il presidente keniano, ndr) persiste a restare in Somalia’”, racconta un altro studente, Amuna Geoffreys. Dopo ogni telefonata, uno sparo: venivano uccisi sul colpo, ricostruisce Amuna, che è riuscito a nascondersi dietro a un cespuglio.

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