Le avvisaglie c’erano state, ma forse non tutti gli elmenti erano stati valutati con attenzione. “Sono un ghetto-musulmano, metà jihadista, metà piccolo delinquente”, aveva detto Chérif Kouachi, uno dei due fratelli autori della strage al Charlie Hebdo, al giudice che lo aveva interrogato a luglio del 2010. Ma la sorveglianza, fisica e telefonica, su entrambi i fratelli Kouachi era stata del tutto abbandonata a partire dal luglio 2013. C’erano altre priorità, è la risposta data ieri dal ministero dell’Interno, che spiega come entrambi fossero ormai in apparenza rientrati nella piccola criminalità, dediti a piccoli traffici di droga e al contrabbando. Da allora, solo un breve ritorno di attenzione nei confronti di Said Kouachi, l’altro fratello, nell’estate del 2014, ma poi “derubricato” a delinquenza comune. Ma come spesso accade, il mosaico si compone dopo le stragi. L’inchiesta sulla rete di reclutamento parigina per la Siria che nel maggio 2010 mette insieme per la prima volta i nomi di Amedy Coulibaly, detto Doly, a quello dei fratelli Kouachi, legandoli ai pionieri del jihadismo francese, apre anche una finestra su una mutazione in corso senza seguirla fino in fondo, con nomi e località che poi diventeranno ricorrenti in questi giorni drammatici.
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“Per me c’è solo la religione, della famiglia non me ne importa nulla”. Parlava così Coulibaly, che era un esperto di rapine a mano armata. Al contrario dell’amico Chérif, che appare come un predestinato della jihad domestica, all’eterna ricerca di qualche pessimo maestro dal quale dipendere, il terzo uomo del massacro di questi giorni era nato nella Grande Borne, uno dei più vasti esperimenti di edilizia popolare mai realizzati in Europa. Era il settimo di dieci figli, piccolo e muscoloso, appassionato di body building, rinnegato dal padre dopo il primo arresto, avvenuto all’età di 15 anni. Nel carcere di Fleury-Mérogis avviene l’incontro che gli cambia la vita. La cella accanto alla sua è abitata da Djamel Beghal, teorico della jihad che intanto ha già convertito Chérif. I due amici hanno condiviso solo sette mesi di pena, da settembre 2008 ad aprile 2009, ma il loro legame non si scioglierà mai.
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