Sul documento di conversione all’Islam di Naji Haddu, vergato il 28 agosto dal giudice del «Califfato» di Mosul, c’è scritto che “Gesù è schiavo di Dio”, non figlio di Dio. Naji non lo può mostrare. “Me lo ha preso l’arcivescovo cattolico tre giorni fa, quando sono riuscito a raggiungere la mia famiglia tra gli sfollati cristiani di Erbil. Ma i militanti dell’Isis mi hanno già telefonato. Sono venuti a sapere che sono rimasto senza il documento, per loro vale come lasciapassare. Dicono che se torno a Mosul ne avrò uno nuovo in cui si attesta tra l’altro che ho diritto a una casa gratuita nei confini del Califfato, a cibo gratis e, se voglio, a quattro mogli musulmane. Mi esortano a tornare presto e portare mia moglie e i nostri tre figli, che per loro sono automaticamente musulmani. Aggiungono che devo stare attento. Qui ci sono tanti loro militanti pronti a farsi saltare in aria. Presto sarà il caos nelle zone curde. Meglio vada a Mosul, i musulmani aiutano i musulmani», spiega questo 40enne nato nel villaggio cristiano di Qaraqosh (da agosto occupato dai jihadisti) e incontrato per oltre tre ore due giorni fa nella «Accademia Brasiliana», un centri di raccolta per gli sfollati a Erbil. Naji è confuso, preoccupato. «Non so che fare, diciamo che sono un cristiano-musulmano. L’unica modo per tornare ciò che ero è emigrare in Europa”
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