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Sand Creek, 150 anni dopo. Gli indiani onorano i giusti che non vollero partecipare al massacro

Quando sentirono la terra tremare, i Cheyenne e gli Arapaho accampati in un’ansa del Sand Creek pensarono a una mandria di bufali. Era l’alba del 29 novembre 1864 e di lì a poco sarebbero stati massacrati a tradimento dal 3° Reggimento dei Volontari del Colorado. Sotto i colpi dei soldati blu morirono quasi duecento nativi americani, per due terzi donne e bambini inermi. A 150 anni i distanza i loro discendenti li hanno voluti ricordare in questi giorni sul luogo della strage, ma hanno anche omaggiato le tombe del capitano Silas Soule e del tenente Joseph Cramer, ufficiali unionisti che non vollero prendere parte alla mattanza e ordinarono ai loro uomini di non sparare. (continua dopo la foto)


Soule, in particolare, pagò quel rifiuto con la vita. Arrestato per “codardia”, testimoniò davanti a una commissione d’inchiesta contro il colonnello Chivington, che guidò l’attacco. Fu assassinato poco dopo il rilascio, probabilmente per vendetta. Fu però anche grazie a lui che si fece luce sullla natura del massacro del Sand Creek, definito da un giudice “un atto di profonda codardia e una strage perpetrata a sangue freddo, un gesto sufficiente a coprire i colpevoli di infamia indelebile, e contemporaneamente, a suscitare indignazione in tutti gli americani”. Una pagina nera della conquista del West che anche Fabrizio De Andrè volle cantare: “Si son presi il nostro cuore sotto una coperta scura, sotto una luna morta piccola dormivamo senza paura”…


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