“Don’t cry for him Argentina?” ha twittato Cher, ma ormai tutto il mondo piange per il povero Orso Arturo. La diagnosi è unanime: depressione. Dopo vent’anni passati in quel recinto di cemento nello zoo di Mendoza, in Argentina, non ce la fa proprio più, e si vede. Il plantigrado va avanti e indietro, scuote la testa, digrigna i denti senza motivo. Ogni tanto si tuffa stanco nei cinquanta centimetri d’acqua della sua piscinetta. È rimasto solo, Arturo, dopo che il suo simile e compagno di prigionia, Pelusa, è passato a miglior vita. Non è questo, però, il suo problema principale. Il fatto è che la Natura non avrebbe mai messo un orso polare sotto la canicola sudamericana, dove il termometro sale anche oltre i 40 gradi. Greenpeace e centosessantamila persone hanno chiesto che venga trasferito in Canada, ma il direttore dello zoo non ha dato l’ok: l’animale è troppo vecchio per affrontare anestesia e viaggio. Così rimane prigioniero nel cemento, con i suoi fantasmi, a sudare nella folta pelliccia e a sognare la neve.