La riflessione l’abbiamo fatta un po’ tutti, camminando tra le bellezze di Roma. Monumenti che fanno bella mostra di sé, riempiono il cuore e la mente, sono lì da duemila anni e anche più. Mentre tutto il moderno cade a pezzi. E, di qui, la domanda forse banale ma difficle da soddisfare, senza una minima cognizione di ordine tecnico. Beh, la stessa domanda se la sono posta alcuni scienziati californiani, per cercare di spiegarsi come mai a Roma, più che in altre città, le meraviglie millenarie risentono meno lo scorrere degli anni. E hanno trovato la risposta: l’ingrediente segreto della longevità del calcestruzzo romano è la cenere vulcanica.
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Lo studio dell’Università della California ha spiegato il motivo per cui le opere romane non presentano nessuna corrosione. La produzione moderna di cemento richiede il riscaldamento di una miscela di calcare e argilla a 1.450°C. Le opere romane, invece, erano composte per l’85 per cento da cenere vulcanica, acqua fresca e calce, richiedendo una temperatura molto più bassa e, di conseguenza, riducendo in modo significativo il carbonio. E, allora, si pensa a come sfruttare la forse inconsapevole saggezza degli antichi romani: “Se riuscissimo a trovare il modo d’incorporare una componente di roccia vulcanica nelle produzioni di calcestruzzo, potremmo ridurre notevolmente le emissioni di anidride carbonica associate alla loro produzione e migliorare la loro durata e resistenza nel tempo”, sostiene la Dottoressa Marie Jackson. In sostanza, i ricercatori vogliono apprendere le tecniche romane e applicarle ai cementi moderni. Ma c’è un’altra domanda da farsi: perché non averci pensato prima?
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