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La Spigolatrice, una “vedetta” in memoria dei Trecento

La statua in bronzo della Spigolatrice di Sapri è posizionata, dal 1994, contornata dal mare, sullo scoglio dello Scialandro, al largo della città di Sapri. Il bronzo può essere visitato dal mare e ammirato dalla sovrastante strada statale 18, muniti di un binocolo. Anche il sito scelto per la sua collocazione, aumenta l’impalpabilità del personaggio nell’evento storico che ha avuto quale principale protagonista il patriota Carlo Pisacane. Più nota della scultura è la poesia composta alla fine del 1857. Narra la sfortunata spedizione di Carlo Pisacane nel Regno delle Due Sicilie. Il poeta adotta il punto di vista di una lavoratrice dei campi, intenta alla spigolatura e presente allo sbarco, che incontra Pisacane e se ne invaghisce. La donna parteggia per i trecento ma assiste impotente al loro massacro da parte delle truppe borboniche.

La spigolatrice di Sapri
di Luigi Mercantini

Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!

Me ne andavo al mattino a spigolare,
quando vidi una barca in mezzo al mare:
era una barca che andava a vapore;
e alzava una bandiera tricolore;
all’isola di Ponza s’è fermata,
è stata un poco e poi è ritornata;
è ritornata ed è venuta a terra;
sceser con l’armi, e a noi non fecer guerra.

Sceser con l’armi, e a noi non fecer guerra,
ma s’inchinaron per baciar la terra,
ad uno ad uno li guardai nel viso;
avean tutti una lagrima e un sorriso.

Lì, li dissero: ladri usciti dalle tane,
ma non portaron via nemmeno un pane;
ma li sentii mandare un solo grido:
«Siam venuti a morir pel nostro lido».
Con gli occhi azzurri e i capelli d’oro
un giovin camminava innanzi a loro.

Mi feci ardita, e, presol per mano,
gli chiesi: «Dove vai, bel capitano?»
Guardandomi, rispose: «Cara sorella…
vado a morir per la mia patria bella».

Io mi sentii tremare tutto il core,
che non potei dirgli: «V’aiuti il Signore!»
Quel giorno dimenticai di spigolare,
e dietro a loro decisi d’andare.
Due volte si scontrar con li gendarmi,
e l’una e l’altra li spogliar dell’armi;
ma quando fur della Certosa ai muri,
s’udirono suonar trombe, gridi e tamburi;
e tra fumo, spari, urla e scintille
piombaro loro addosso più di mille.

Eran trecento, e non vollero fuggire;
parean tremila e vollero morire:
vollero morir col ferro in mano,
e avanti a loro correa di sangue il piano:
fin che pugnar vid’io per lor pregai;
ma a un tratto venni men, né più guardai;
io non vedeva più fra mezzo a loro
quegli occhi azzurri e quei capelli d’oro.

Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!



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