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Giusto Gervasutti, Scalate nelle Alpí

Ero partito da solo, come spesso mi accadde in quell’anno. Sapevo che l’alpinismo solitario in genere è condannato e considerato quasi come una mania suicida. L’uomo, dicono i benpensanti sostenitori di questa tesi, non ha il diritto di impegnarsi di sua volontà in un gioco eccessivamente rischioso come questo… Preuss passava sovrano di vetta in vetta, di conquista in conquista, sprezzante di ogni mezzo di protezione… lo, più modestamente, mi accontentavo di andare lassù a sfogare il malumore accumulato nelle ore monotone di città. E nelle vibranti e libere corse sulle rocce tormentate, nei lunghi e muti colloqui con il sole e con il vento, con l’azzurro, nella dolcezza un po’ stanca dei delicati tramonti, ritrovavo la serenità e la tranquillità. E nessuna teoria pacifista e sentimentale potrebbe indurmi a cambiare opinione. … E l’ebbrezza di quell’ora passata lassù isolato dal mondo, nella gloria delle altezze, potrebbe essere sufficiente a giustificare qualunque follia… Ed al giovane compagno che inizia i primi duri cimenti, ricorderò il motto dell’amico caduto su una grande montagna: Osa, osa sempre e sarai simile ad un dio”

Giusto Gervasutti


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