Paola Ferrari, 56 anni, in una intervista a Vanity Fair interviene sul tema della maternità surrogata, raccontando che sarebbe pronta a ricorrere all’utero in affitto, nel caso in cui il desiderio di un terzo figlio dovesse essere ancora forte. La giornalista, infatti, è già madre di due figli, Alessandro, 17 anni, e Virginia, 16, nati dal matrimonio con l’imprenditore Marco De Benedetti.
‘’Conosco tante che vorrebbero essere madri senza riuscirci, vedo la loro sofferenza. Si sentono incomplete, hanno mariti che, nel migliore dei casi, soffrono in silenzio, e questo si ripercuote anche sul rapporto di coppia. Non riesco nemmeno a immaginare che uomo sarebbe mio marito, oggi, senza i nostri figli che sono la sua ragione di vita. Si sarebbe consumato in una vita di solo lavoro’’.
(Continua a leggere dopo la foto)
Perdoni la franchezza, ma trovo che in questo Paese ci sia un’esagerata mistica della maternità, che per di più si pretende valga per tutte: non è vero che la gravidanza è il periodo più bello per ogni donna, non è vero che durante quei nove mesi tutte instauriamo un rapporto simbiotico con il bambino. Rispetto quelle che hanno avuto la fortuna di viverla così, sono felice per loro, ma non siamo tutte uguali. Io, per esempio, ho avuto gravidanze molto difficili. Sono stata malissimo fisicamente, ho anche attraversato una depressione. Non vedevo l’ora che finissero, il che non significa che non ami i miei figli o che li ami di meno. E come me, ce ne sono tante altre. Il problema è che abbiamo paura di ammetterlo perché noi donne siamo ancora prigioniere dei pregiudizi. Ci si aspetta che soffriamo e partoriamo senza un lamento né un limite al dolore’’.
Per lei, dopo due gravidanze difficili, è arrivato il desiderio di un terzo figlio. Non ci è riuscita, ha avuto problemi di salute e ha dovuto rinunciare. “Fino a quando, pochi anni fa”, racconta la giornalista, “alcune amiche americane hanno iniziato a parlarmi di maternità surrogata. Ho chiesto informazioni in Italia e ho raccolto solo pareri molto negativi. Ma visto che sono cocciuta e faccio la giornalista, ho deciso di andare a vedere di persona. Ho preso una settimana di ferie e sono volata a Los Angeles”.
Secondo Paola Ferrari, le volontarie “sono donne normali, di ceto medio e mediamente colte, madri di famiglia, quasi tutte con due ¬figli, che mettono a disposizione di altre donne la loro facilità di procreare, ma solo quella: il materiale genetico non può essere il loro. Vivono la gravidanza con naturalezza, condividendola con la propria famiglia, che partecipa. Vengono pagate, ma il denaro non è l’unica motivazione: si sentono utili e hanno il piacere di fare un dono così importante. Lo scopo è nobile, non c’entra nulla con la prostituzione: quella sì che è sfruttamento, eppure chi va con le prostitute non finisce in galera. Comunque, l’incontro con la surrogata è il passaggio più delicato di tutto il percorso. E infatti lì per ora mi sono fermata. Ma non è detto che non decida di andare avanti, in un futuro prossimo”.
{loadposition intext}