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La mamma coraggio anti Isis: “Lotto per salvare i giovani come mio figlio”

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“Una notte, erano le dieci del 14 gennaio del 2014, ho ricevuto una telefonata di un giornalista”. Su Twitter era comparso un elogio funebre in cui era citato Abu Tahla Al Canadi. Abu Tahla è Damian Clairmont. Ed è morto a 22 anni in combattimento ad Hrytan nei sobborghi di Aleppo sotto la bandiera nera dello Stato Islamico. Ma, soprattutto, Damian era il figlio di Christianne Boudreau, 45 anni, canadese, di Calgary, che da più di un anno vive con un interrogativo che le martella in testa: “Perché?”. Perché suo figlio maggiore è morto in Siria dopo essersi unito all’Isis?

La storia, raccontata dal Corriere della Sera, inizia a novembre del 2012 quando Damian le comunica che ha deciso di andare al Cairo a studiare l’arabo. “A 17 anni aveva sofferto per un lungo periodo di depressione”, racconta Christianne. Uscito dall’ospedale il ragazzo sembra trovare un po’ di pace nell’Islam, si converte. All’inizio del 2013 due agenti del Csis (i servizi canadesi) bussano alla porta della donna a Calgary, dicendole che il ragazzo aveva passato il confine tra la Siria e la Turchia, dopo aver trascorso un periodo in un campo di addestramento. Il mondo le crolla addosso: Damian non è andato a studiare l’arabo. Prima si è arruolato con Al Nusra, il fronte jihadista vicino ad Al Qaeda. Poi, nell’estate del 2013 è passato con l’Isis.

(Continua dopo la foto)


 

Infine, la notizia della sua morte. Da allora Christianne ha deciso di lottare contro Isis, da mamma. “Durante tutto il periodo in cui Damien era vivo nessuno mi ha spiegato cosa dovevo dirgli per convincerlo a tornare”, spiega. Lei è tra i membri di Mothers for Life, un network di madri di foreign fighters che si rivolge ai ragazzi a rischio. Per ora conta una dozzina di membri in tutto il mondo. Donne che si parlano via chat, via mail, prestando attenzione alle fughe di notizie. Usano ogni mezzo tecnologico a loro disposizione. La strada migliore per loro è dissuadere i ragazzi dalla partenza e imparare a riconoscere i segnali. “Nella cultura islamica la figura della madre è centrale, dobbiamo fare leva su questo. Isis e i gruppi terroristi usano la religione in modo strumentale per fare breccia nella mente e nel cuore delle persone, noi dobbiamo impedirglielo”, conclude.

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