Era arrivata ad un punto morto. Poco da raccontare ad una vita che ormai era vissuta solo sulla carta. Zoe Margolis era una meravigliosa maschera per il mondo ma dentro era inaridita, un campo dove non cresceva più niente. “Ero sola, sopraffatta e soffocata dalla mia depressione. Ho considerato il suicidio e ho cominciato con l’autolesionismo. Ho scoperto che il dolore esterno intorpidiva temporaneamente il mio dolore interno. Ero consapevole che stavo toccando il mio punto più basso”. Racconta al Guardian. Così il tentativo con la medicina ma: “Medici, pillole e terapie non avevano fatto nulla per rimuovere l’oscurità che incombeva su di me come una nuvola di pioggia. Mi avevano suggerito di provare a fare esercizio fisico, ma i loro consigli erano caduti nel vuoto. Quando ti manca l’energia anche solo per alzarti dal letto al mattino, l’ultima cosa che hai bisogno di sentire è che dovresti tirarti su e andare in palestra”. Meglio iniziare con calma, mettendo un passo dopo l’altro pensò Zoe. “Fu così che mi sono trovata, in una gelida mattina di febbraio di quest’anno, a correre nel mio parco locale. Era buio, tempo pessimo e pioveva. Non appena ho iniziato a correre, con anni di rigidità e dolore nei muscoli, continuavo a pensare: “Zoe, se sei in grado di fare questo, se sei capace di superare queste orribili sensazioni di tristezza, allora potrai superare tutto”. Sei mesi dopo, sapevo che era vero: non solo ce l’ho fatta, ma sento di essere sopravvissuta. Ogni passo che ho fatto negli ultimi mesi è stato un passo per allontanarmi dal dolore, un passo più vicino al sentirsi meglio. Quando corro, mi sento bene. So che ci sono studi scientifici che lo dimostrano, ma ovviamente per me si tratta di una semplice equazione che ha bisogno di poche spiegazioni: mi sento merda, perciò corro. Non è una cura magica, e sono sicuro che non funziona per tutti, ma con me lo fa”.
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