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“È una tragedia, non ci crediamo ancora”. È morto nella sua casa a soli 48 anni, la notizia diffusa subito sui social ha scosso molto i fan di tutto il mondo

 

Jóhann Jóhannsson è morto stanotte a Berlino, a soli 48 anni, per cause non ancora note: nella capitale tedesca viveva con la moglie e i tre figli, ma era nato in Islanda, e a Reykjavik era cominciata la sua avventura musicale. Dal rock si era allontanato presto, seguendo le orme di Michael Nyman e Arvo Pärt, che più di una volta aveva indicato come sue fonti di ispirazione, insieme con Ennio Morricone. Englabörn è il suo debutto solista, nel 2002: da lì in poi sarà un susseguirsi di lavori dove classica, avanguardia, elettronica diventano categorie sempre più strette per la sua musica. “Fordlandia”, ispirato alla città tecnofuturista costruita da Henry Ford in Brasile, è un altro esempio di come Jóhannsson si confrontava con temi apparentemente lontanissimi dalla musica. Anche il cinema: per il regista premio Oscar Denis Villeneuve scriverà le musiche di Prisoners (2013), Sicario (2015) e Arrival (2016). Con la colonne sonore di “Sicario” e de “La teoria del tutto”, il compositore islandese fu candidato all’Oscar: non vinse la statuetta dorata, ma il Golden Globe. Di recente, poi, Jóhannsson aveva scritto le musiche per “Madre!” di Darren Aronofsky e “Maria Maddalena” di Garth Davis, in arrivo nei cinema il mese prossimo. (Continua a leggere dopo la foto)


Era uno dei compositori più famosi della sua generazione, quella dei Neoclassici. Su Twitter si piange la scomparsa di Jóhannsson, e e la sua musica “commovente e riflessiva”. L’ultimo album Orphée, era uscito nel 2016 per Deutsche Grammophon, che negli ultimi tempi si sta aprendo alle musiche dei Neoclassici (e ha in catalogo anche Richter). “Nei tre anni della nostra stretta collaborazione era nata una vera amicizia”, si legge ora sulla pagina Twitter dell’etichetta tedesca. “La forza della sua musica vivrà ancora e continuerà a commuoverci”. Grandioso nei suoni, sempre mosso da una spiritualità tenace ma composta, Orphée affronta il tema del cambiamento, come spiegava lo stesso Jóhannsson: “Cambiare città, lasciarsi dietro una vecchia vita a Copenhagen e costruirne una nuova a Berlino. Proprio come il mito di Orfeo, che parla di cambiamento, mutabilità, morte, rinascita, cercando di cogliere la natura sfuggente della bellezza e la sua relazione talvolta complicata con l’artista”. (Continua a leggere dopo le foto)

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Nato come chitarrista, Jóhannsson ha lavorato spesso con musicisti di confine, tra i quali Marc Almond, Jaki Liebezeit, Barry Adamson e Pan Sonic. Quest’anno era atteso al Primavera Sound di Barcellona, il 31 maggio, in un cartellone che lo stesso giorno prevede Björk e Nick Cave. Dal vivo, la musica del compositore islandese, da lui diretta e suonata in ensemble anche poderosi, diventava ancora più profonda e densa di spiritualità, toccando vette di intensità rara. Lo ricordiamo alla Funkhaus di Berlino, nel dicembre 2016, quando si esibì circondato dal pubblico, trasformando un concerto in un incantesimo, in una serata da cui tutti gli spettatori uscirono con gli occhi scintillanti.

 

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