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Leucemia linfatica cronica, guarigione più vicina

 

Svolta in vista contro la leucemia linfatica cronica (Llc), la più frequente nel mondo occidentale con circa 3 mila nuove diagnosi l’anno solo in Italia, perlopiù fra gli anziani. Per la prima volta nella storia della malattia – grazie a una terapia intelligente e ‘chemio-free’ capace di uccidere fino all’ultima cellula del tumore, quella che non vuole morire – si prospetta la possibilità di interrompere il trattamento dopo 2 anni, per riprenderlo solo se necessario con ottime probabilità che possa ancora funzionare. Dal 23esimo congresso della Società europea di ematologia Eha, in corso a Stoccolma, gli esperti parlano di “risultati strepitosi”, di “un passo avanti verso la guarigione”. Uno scenario rivoluzionario per i pazienti, ma anche per i servizi sanitari nazionali. Il farmaco della speranza si chiama venetoclax e funziona “sbloccando una situazione molto frequente nella leucemia linfatica cronica, ossia l’inibizione della capacità di una cellula malata di imboccare la via della morte programmata o apoptosi”, spiega all’AdnKronos Salute Marco Montillo, della Struttura complessa di ematologia del Niguarda Cancer Center, ospedale Niguarda di Milano, dove è responsabile del Programma di trattamento dei pazienti con disordini linfoproliferativi cronici: soltanto per la Llc “700-800 persone in cura, età media circa 70 anni, con un 20% di under 65 e un 5% di under 40”. Venetoclax, ‘capofamiglia’ di una nuova classe di molecole e in formato compressa, prende di mira l’espressione anomala di una proteina che si chiama Bcl-2 e così facendo libera la cellula cancerosa da ciò che le impedisce di suicidarsi. (continua dopo la foto)


I “dati sorprendenti” arrivano dallo studio Murano, un trial di fase clinica III condotto su pazienti Llc che avevano già ricevuto almeno una terapia. Venetoclax è stato utilizzato insieme all’immunoterapico rituximab, e il confronto con il cocktail standard bendamustina-rituximab “mette una pietra tombale sulla chemio-immunoterapia – afferma Montillo, coordinatore dello studio per l’Italia – almeno dalla seconda linea di trattamento in poi”. Murano indica che, “con venetoclax-rituximab somministrato per 24 mesi, il 40% circa dei malati raggiunge uno stato di malattia residua minima negativo”: meno di una cellula leucemica su 10 mila, in gergo tecnico “eradicazione molecolare della malattia”. Che non è sinonimo di guarigione, ma molto ci si avvicina. Venetoclax, sviluppato dall’americana AbbVie e dalla svizzera Roche, è già disponibile sul mercato e usato in monoterapia; viene commercializzato da AbbVie e Genentech (gruppo Roche) negli Usa, e da AbbVie in tutto il resto del mondo Europa compresa. (continua dopo la foto)
Grazie ai risultati di Murano, però, proprio nei giorni scorsi la Fda statunitense ha autorizzato anche la combinazione venetoclax-rituximab nei pazienti con leucemia linfatica cronica o con linfoma linfocitico a piccole cellule B, con o senza delezione 17p – una mutazione genetica presente nel 30-50% dei malati con Llc recidivante – che hanno ricevuto in precedenza almeno un’altra terapia. “Associando rituximab a venetoclax – sottolinea Montillo – si aumentano il numero di remissioni complete e il tasso di risposta complessivo”, in Murano il 92% contro il 72% con chemio-immunoterapia; “si prolunga il tempo di sopravvivenza libero da malattia”, con un -81% del rischio di progressione o morte, “e si potenzia ulteriormente l’efficacia nell’eradicazione della patologia, che già per venetoclax in monoterapia è sorprendentemente maggiore rispetto agli altri farmaci di nuova generazione”. In conclusione, commenta l’ematologo, per la prima volta abbiamo la dimostrazione evidente che una combinazione chemio-free riesce a ottenere risultati migliori della chemio-immunoterapia”. (continua dopo la foto)
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In Europa “ci aspettiamo l’ok dell’Ema entro fine anno e in Italia dopo altri 6-12 mesi”. A quel punto, per l’esperto è ragionevole stimare che “un 30-40% di tutti i pazienti con leucemia linfatica cronica in recidiva possano assumere questo mix terapeutico, proseguirlo per 2 anni e sospenderlo a malattia eradicata”. E poi? “E’ presto per dirlo – risponde Montillo – serviranno periodi di osservazione lunghi e restano domande alle quali dobbiamo ancora rispondere”. Ma benché “in questo momento sia proibito parlare di guarigione – conclude – possiamo dire certamente che è stato fatto un passo avanti per raggiungerla”.

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