L’incubo dell’Ebola ha varcato, già da diverse settimane, il confine della martoriata Africa occidentale. Del resto, vista la grande mobilità umana tra i continenti, è inevitabile che ci sia allarme anche in aree del pianeta che si considerano lontane dai luoghi dell’epidemia. Dopo i casi negli Stati Uniti e in Spagna l’intero Vecchio continente ha paura. Basta poco, si pensa, perché è sufficiente che ci sia un solo malato, magari inconsapevole, per diffondere il virus. Con l’automatico quesito che ci poniamo tutti: siamo eventualmente pronti ad affrontare dei casi di Ebola? Abbiamo strutture e personale adatto? Le autorità rassicurano, ma quando è psicosi può non bastare.
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Interessante, al riguardo, è un articolo pubblicato sul quotidiano torinese La Stampa, che è la sintesi di un viaggio, una simulazione nei due centri italiani (lo “Spallanzani” di Roma e il “Sacco” di Milano). Cosa accade, quali procedure si attivano quando alle porte di questi due ospedali si presenta un soggetto che al dubbio di avere contratto l’Ebola.
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