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Quando, a 54 anni, Gianna Nannini decise di rimanere incinta contro di lei si scatenò il putiferio. “Mi hanno tutti rotto i c…”, dice ora la cantante. Intanto Penelope ha quasi sei anni e…

  • Musica

 

Mentre si gode il successo di Hitstory, la raccolta edita per Sony Music che celebra i suoi 40 anni di successi, Gianna Nannini racconta tutte le difficoltà che ha dovuto affrontare per raggiungere il successo. Ma il dolore più grande sono state le critiche ricevute quando, a 54 anni, annunciò di aspettare una bambina, Penelope: “In Italia, intorno alla mia gravidanza, l’aria è stata ostile. I religiosi si sono impegnati a rompere i coglioni e le critiche mi hanno fatto male perché mi è parso che ci fosse una totale mancanza di rispetto. Mi entravano in pancia, quelle critiche”. Intervistata dal Fatto quotidiano, la 60enne cantautrice di Siena non nasconde nulla.

E racconta le prove molto difficili che ha affrontato nella vita e nella musica: incidenti, malattia e umiliazioni. Il primo ricordo è il rapporto difficile col padre. Sin da ragazzina, ai bagni Principe di Piemonte in Versilia: “Mi convocò per un discorso serio. Vieni che devo spiegarti qualcosa. Papà era gelosissimo e comprensibilmente preoccupato. Temeva facessi un po’ la troia e con un fidanzato a Camaiore, un altro a Pietrasanta e un altro qui, a Viareggio, un po’ troia in effetti ero. Aveva portato delle immaginette, dei disegnini: Guarda che se trombi, qualcosa poi succede. Era terrorizzato all’idea che rimanessi incinta e voleva avvertirmi in tempo. Io non ero a disagio e quel discorso in fondo mi piaceva”.

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I problemi veri vengono in seguito, quando i genitori la vorrebbero impegnato nella storica pasticceria di famiglia e lei invece sogna di fare la cantante, anche se a 7 anni la sbattono fuori dal coro perché stonata (“Mi sembrò un’ ingiustizia perché già a quell’età mi sembrava di dar corpo al coro, di avere una grana, un timbro, una voce che si sollevava rispetto alle altre”). L’obiettivo è andare in America, ma Gianna vuole farcela con i suoi soldi: “Così mi misi d’impegno a imparare un mestiere. Se fare i ricciarelli in azienda mi avrebbe portato fuori da lì, ero disposta al compromesso. Così ho iniziato, spaccando le uova nell’impasto. Anche 350 di seguito. Persi due dita mentre sperimentavo una nuova ricetta. Con lo choc e il dolore, la voce divenne più roca”.

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Dopo quel drammatico incidente, la Nannini decide di andarsene a Milano, per trovare la sua strada nella musica italiana. “I miei non la presero bene. Papà mi amava e soffrì. Per quasi due anni non ci parlammo. Sapevo che dovevo farcela da sola”. La sostengono in pochi, lei va avanti “lottando contro tutti quelli che mi dicevano non vali niente e non ce la puoi fare. Mario Zanoletti, il direttore artistico della Fonit Cetra, si spinse addirittura a consigliarmi un’altra direzione: Cercati un lavoro, ma dimenticati di cantare”.

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Poi l’incontro con la Numero Uno (la casa discografica di Lucio Battisti) e il lancio grazie a Claudio Fabi e Mara Maionchi, che la indirizzano verso il rock. Latin Lover fa il botto, ma “le tappe del successo le paghi tutte. Hai successo, gli altri ti vogliono ammazzare e il tuo compito è saperlo, accettarlo e provare a sopravvivere. Comunque ho ricordi confusi di quel periodo perché, all’epoca, all’eccezionale esperienza artistica affiancavo un momento personale complicato. Ero nel caos. Avevo un problema di scissione mentale e mi sembrava di non sapere chi fossi davvero. In un certo senso penso di essere nata nel 1983. Dopo quel disco. Dopo essere andata completamente di fuori e aver rischiato di non tornare più indietro. Conducevo una vita ribaltata e al ribaltamento definitivo forse contribuì Sogno di una notte di estate di Gabriele Salvatores. Interpretavo Titania. Per due mesi lavorai di notte e andai a dormire alle dieci di mattina”.

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