Se pensiamo a Francesco De Gregori non possiamo non pensare a: Alice, Donna cannone, La leva calcistica della classe ’68, Finestre rotte, Vai in Africa Celestino, Santa Lucia, Titanic, Viva l’Italia, Per le strade di Roma, Fiorellino … Da poco le ricanta, riarrangiate e rinate e l’album, Vivavoce è andato così bene che dal 20 marzo da Roma inizierà un nuovo, lunghissimo tour: segno che De Gregori ha continuato a tenere in tensione quel filo che da quarant’anni, ventuno album, quindici live e dodici raccolte, lo lega al pubblico.
Intanto “La donna cannone”. Chissà se è vero che quella canzone nacque da un articolo di giornale… “Avevo letto in un trafiletto di un giornale locale che una “donna cannone”, principale attrazione di un piccolo circo, era fuggita per amore. Mi aveva colpito soprattutto la disperazione del circo, ora ridotto in malaparata. Una storia un po’ felliniana”. E “Alice”? De Gregori ha raccontato che l’aveva ispirata l’Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll. “Sì, l’immagine di Alice che guarda i gatti appartiene a Carroll e alle illustrazioni di John Tenniel: quella bambina con gli occhi sgranati era stato il primo impatto visivo quando da piccolo lessi il libro. La verità è che venivo da un periodo in cui ero attratto da tutto ciò che nell’arte non seguiva un filo logico. Mi ero innamorato degli scrittori dadaisti, Tristan Tzara, la scrittura automatica, avevo letto Joyce, lo stream of consciousness , Freud e l’interpretazione dei sogni… Non avevo nessuno che mi premesse, nessuno si aspettava che vendessi dischi. Ero libero di fare tutti i danni che volevo. E la canzone me la sono scritta esattamente come pensavo si dovesse scrivere una canzone. Avevo già una musica su cui io cantavo un testo finto inglese, una specie di grammelot, ci misi sopra quello che avevo scritto…”.
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Tutto nasce dalle letture: “Io sono un buon lettore. Avendo molti momenti morti nel mio lavoro ed essendo di una generazione non digitale, se sto molte ore in treno invece di smanettare, leggo. Ma detta così sembra che io sfogli solo Kafka, Melville e Proust. Invece devo gratitudine anche a Grisham, Stieg Larsson, Ken Follett e molta narrativa di genere. Comunque in quel momento ero patito per i dadaisti e trovavo corrispondenze tra quel modo di creare con il cinema che mi piaceva”. De Gregori fa anche un esempio concreto: “Il “Cesare perduto nella pioggia”, è Cesare Pavese. Avevo letto tutto di lui, e nella biografia c’è questo episodio di quando una sera aspettò per una notte Costance Dowling, donna bellissima, ballerina che lo illuse e poi lo lasciò…”.
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