Un “ostaggio politico”. Questo sarebbe Silvia Romano, la cooperante italiana sequestrata il 20 novembre scorso nel villaggio di Chakama in Kenya e attualmente, secondo quanto ricostruito dalla Procura di Roma e dai carabinieri del Ros, tenuta prigioniera in Somalia nella mani di uomini vicini al gruppo jihadista Al-Shabaab, organizzazione somala affiliata ad Al Qaeda.
A quanto apprende l’Adnkronos da fonti somale, dunque, la volontaria 24enne, che al momento del sequestro lavorava per la onlus ‘Africa Milele’, sarebbe stata individuata come obiettivo da al Qaeda perché i jihadisti ritenevano facesse proselitismo religioso: una circostanza che fa della cooperante un ostaggio di particolare valore dal punto di vista della propaganda islamista, complicando un rapimento che si protrae ormai da un anno e per il quale non è mai stato chiesto un riscatto. Attualmente Silvia Romano si troverebbe nel territorio del South West della Somalia, lo Stato con capitale Baidoa la cui autorità giudiziaria da luglio scorso è impegnata a indagare sul caso, anche su pressione di altre forze occidentali impegnate nell’area, britannici, tedeschi, americani. (Continua a leggere dopo la foto)
Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, la 24enne italiana sarebbe stata portata subito in Somalia da un gruppo di pirati reclutati e organizzati da Al Qaeda per specifici sequestri politici e sarebbe stata gestita “come ostaggio politico, con lo stesso protocollo adottato per le spie”, passando di mano fra diversi gruppi interni ad al Al Shabab per ragioni di sicurezza. A un anno dal rapimento di Silvia Romano, per la prima Lilian Sora, presidente di Africa Milele Onlus, ha parlato ai microfoni di Tg3 e Rainews24. Come riporta ”Repubblica”, Sora ha ricostruito il 20 novembre del 2018, giorno del rapimento. (Continua a leggere dopo la foto)
“Le figure che si occupavano della sicurezza a Chakama in quel periodo erano due masai che si alternavano: Joseph, che era andato a fare attività con Silvia nel pomeriggio, e poi è subentrato John. Chakama era sicura. Avevamo precedenti di ragazzi rimasti da soli per periodi più lunghi, – ha detto ancora – e se avessi avuto sentore che ci fossero problemi sicuramente l’avrei fatta andare via prima, insieme agli altri volontari due giorni prima”. Poi la ricostruzione di quel giorno: “Il 20 novembre – ha spiegato – io e Silvia siamo state al telefono fino circa 20 minuti prima del sequestro per parlare del lavoro. Mezz’ora dopo mi è arrivato un messaggio Whatsapp da Malindi chiedendo di sincerarmi sulle condizioni di Chakama e di Silvia”. (Continua a leggere dopo la foto)
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“Ho chiamato subito e mi hanno detto che Silvia era stata presa e portata via, da lì a notte fonda ho capito cosa era successo”. Anche quel giorno – ha raccontato – Silvia aveva dedicato la giornata alle attività per gli studenti, ora sospese: “C’erano gli esami di maturità a Chakama e, siccome i ragazzi non avevano un pasto, lei lo aveva cucinato insieme a Joseph e poi lo aveva consegnato e avevano pranzato insieme”.
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