Novità su Salvatore Parolisi, l’ex caporalmaggiore dell’Esercito condannato a venti anni di reclusione per l’omicidio della moglie Melania Rea. L’uomo potrà infatti usufruire di alcuni permessi premio e poter dunque varcare la porta del carcere di Bollate (Milano).
A confermare la notizia circolata negli ultimi mesi è il giornalista Gian Pietro Fiore in un post sul suo profilo Facebook ufficiale. “Da oggi – si legge – è ufficiale: Parolisi, in carcere per aver ucciso sua moglie Melania, a settembre potrà lasciare il carcere per seguire le lezioni all’università. La notizia è stata confermata nei giorni scorsi dallo stesso Parolisi”. Avrà questa opportunità perché ha scontato già la metà della sua condanna e perché ha sempre avuto una buona condotta dietro le sbarre. Nella casa circondariale, il 41enne si è diplomato come perito agrario. (Continua a leggere dopo la foto)
“La notizia è stata confermata dallo stesso Salvatore Parolisi che nei giorni scorsi ha candidamente ammesso di aver avviato la pratica per mettere piede fuori dal carcere. – scrive Fiore – Quindi non è più una indiscrezione, ma una certezza: l’ex caporalmaggiore dell’Esercito condannato in via definitiva a venti anni di carcere per l’omicidio di sua moglie, commesso il 18 aprile del 2011, dopo appena nove anni di reclusione potrà usufruire dei permessi per la formazione universitaria”. (Continua a leggere dopo la foto)
Salvatore Parolisi ha infatti cominciato anche gli studi universitari in Giurisprudenza. La sua condanna in via definitiva è avvenuta quasi 4 anni fa. Il 13 giugno del 2016 è stata confermata la pena di 20 anni. Respinto il ricorso presentato allora dai legali di Parolisi, che chiedeva le attenuanti generiche. (Continua a leggere dopo la foto)
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Come scrive il giornalista Parolisi “potrebbe seguire le lezioni anche tre volte alla settimana. A questi si aggiungeranno poi i permessi premio. Per quanto tutto questo sia previsto dalla legge, si prova un certo imbarazzo a immaginare che un assassino come lui possa così presto lasciare il carcere. Nonostante la condanna definitiva”.
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