Fino all’ultimo istante del suo pontificato, Papa Francesco non ha mai smesso di servire la Chiesa e il suo popolo. Nemmeno la lunga degenza dovuta a una grave polmonite bilaterale, durata 38 giorni al Policlinico Gemelli di Roma, aveva fermato la sua volontà di essere presente. Tuttavia, oggi il mondo si interroga se proprio quella dedizione estrema, quell’impegno instancabile anche in fase di convalescenza, possa aver contribuito al tragico epilogo: un ictus cerebrale che ha innescato un collasso cardiocircolatorio irreversibile. La notizia della sua morte ha colto tutti con profondo dolore, a circa due mesi da quel ricovero che, secondo i medici, avrebbe invece richiesto un lungo periodo di riposo assoluto.
Secondo quanto riportato nel certificato medico, non è stato possibile stabilire con certezza la natura dell’ictus, in quanto non è stata effettuata una Tac. Si parla dunque genericamente di ictus cerebrale, che potrebbe essere stato di tipo ischemico, cioè provocato dall’occlusione di un vaso sanguigno, oppure emorragico, causato dalla rottura di un’arteria e da un’emorragia nel cervello. A prevalere tra gli esperti è l’ipotesi dell’ictus emorragico, più compatibile con l’improvviso coma e la successiva compromissione multiorgano.
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“L’ipotesi più probabile è che si sia trattato di un ictus cerebrale emorragico”, ha dichiarato Pasquale Perrone Filardi, presidente della Società italiana di cardiologia, sottolineando la sequenza drammatica che ha portato al decesso: “una cascata di eventi su altri organi incluso il cuore”. Una valutazione condivisa anche da Roberto Tarquini, vicepresidente della Società italiana di medicina interna, secondo il quale “difficilmente l’ischemia può portare alla morte”.
Ma resta difficile stabilire un legame diretto tra i numerosi impegni pubblici che il Pontefice ha sostenuto e il tragico evento. La comunità scientifica è concorde nel sottolineare come, a seguito di una polmonite grave, il rischio di eventi letali come infarti o ictus cresca in maniera significativa. Francesco Blasi, direttore del dipartimento di Medicina interna e Pneumologia del Policlinico di Milano, ha spiegato: “la mortalità è altissima nei due mesi successivi a una polmonite grave”. Questo perché l’infiammazione può diffondersi nell’organismo, danneggiando anche arterie e arteriole e predisponendo a eventi cardiovascolari acuti. Lo stesso Blasi ha poi sottolineato come questi eventi siano spesso “una conseguenza dello stato infiammatorio cronico”, aggravato magari da uno sforzo eccessivo in fase di recupero.

Eccesso di stress, dunque, ma anche una condizione di salute già molto fragile. “Era noto che per il Papa sarebbe stato necessario un periodo di riposo”, ha affermato Tarquini, “ma gli impegni affrontati in vista della Pasqua potrebbero aver contribuito ad affaticarlo”. L’anzianità e il dolore persistente alla gamba, che lo costringeva da tempo a spostarsi in carrozzella, avevano già mostrato i segni di un corpo stanco. Secondo Stefano Nardini, ex direttore della Pneumologia dell’ospedale di Vittorio Veneto, è plausibile che il Pontefice fosse sottoposto a una terapia antiaggregante, che avrebbe potuto “facilitare un evento emorragico”. E ciò chiuderebbe il cerchio sulla sua lunga storia clinica, iniziata oltre sessant’anni fa.
Già a 21 anni Jorge Mario Bergoglio aveva subito l’asportazione del lobo superiore del polmone destro a causa di una grave infezione. Da allora, i suoi polmoni sono rimasti vulnerabili. Nardini ha ricordato come questa fragilità si sia manifestata più volte: nel marzo 2023, quando non poté presiedere la Via Crucis, e nel dicembre 2024, quando fu costretto a cancellare il suo intervento alla Cop28. In entrambe le occasioni la causa fu duplice: da un lato la bronchite cronica, dall’altro la ridotta capacità respiratoria dovuta all’asportazione di una parte del polmone. Con l’avanzare dell’età, la sua capacità di reazione si è fatta sempre più limitata.


Durante il suo pontificato, Papa Francesco aveva già affrontato altri momenti delicati: nel 2019 fu operato di cataratta, nel 2021 subì un intervento al colon per una diverticolite. Negli ultimi mesi, le difficoltà motorie si erano accentuate. Eppure, nonostante tutto, non ha mai smesso di essere presente, di parlare, di tendere la mano. La sua morte non è solo la fine di un papato, ma il commiato di un uomo che ha consumato sé stesso per la fede e per il suo ruolo, fino all’ultimo respiro.