Un rapporto “sbilanciato”, una famiglia con un “capo” assoluto. Le informazioni contenute negli atti che hanno portato all’arresto di Michele Buoninconti sembrano confermare ciò che sia gli inquirenti che la stampa avevano già notato nel corso di questi dodici mesi, da quel giorno di fine gennaio 2014 in cui si persere le tracce di Elena Ceste. Il quadro che si è formato nelle indagini è questo: lui autoritario, calcolatore, egocentrico, moralmente intransigente, quasi un padre padrone; lei chiusa, riservata, fragile e infedele. E per questo, secondo l’accusa, il movente del delitto va ricercato “nell’odio maturato verso una donna alla quale pensava di aver offerto una famiglia, una casa, la dignità del proprio lavoro e dalla quale era stato ripagato, secondo la sua visione, con vergogna e mortificazione”: parole del giudice Giacomo Marson sintetizzando un anno di lavoro degli inquirenti di Asti che attribuiscono grande importanza ai profili comportamentali dei due coniugi. Dunque: vittima e carnefice, despota e prigioniera. Michele viene definito spietato nella premeditazione dell’omicidio e nell’occultamento del cadavere della moglie, al punto di dimenticarsi del destino dei loro quattro figli minori, di 6, 9, 11 e 14 anni. Figli che all’improvviso si ritrovano orfani di entrambi i genitori, affidati temporaneamente ai nonni materni, vittime anche loro dell’ennesimo delitto in famiglia. Figli che vengono manipolati dal padre in funzione del delitto.
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A questo proposito c’è una intercettazione ambientale considerata significativa dagli investigatori. Era il 5 maggio dello scorso anno, quattro mesi dopo la scomparsa di Elena, quando non si parlava ancora di omicidio. Sono tutti in casa. Parla lui: “Loro vogliono sentire solo questo… Che tra di voi non andate d’accordo! Così uno va da una parte, uno da un’altra, un’altra ancora da un’altra parte. Vi va bene vivere così? Separati? Mamma è chissà dove! E a me mi mettono ancora da un’altra parte… Perciò cercate di essere bravi tra di voi”. Poi lo stesso Michele effettua una “verifica” per accertarsi che i figli abbiano imparato la versione da fornire nell’eventualità di domande sulla serenità in famiglia.
“Mi avete mai visto litigare con mamma?”. Risposta candida della bambina: “Sì”. Idem il fratellino: “E lo chiedi?”. Il papà dà dunque istruzioni: “Eh, loro questo vogliono sentire… Se gli dite sì state tranquilli che mi mettono da un’altra parte!”. La bambina: “Tante volte hai litigato con mamma”. E lui: “Non le devi dire queste cose, ti tolgono anche me, dopo la mamma. Ora la domanda la faccio a tua sorella e ascoltala: mi hai mai visto picchiare la mamma?”. La sorella: “No”. “E tu?”. “No”. Quindi le intercettazioni danno una chiara idea del clima familiare, oltre a un indizio di colpevolezza. Del resto, dice il colonnello dei carabinieri Fabio Federici che da un anno sta cercando di fare luce sul caso, “non esistono ipotesi alternative, tutto torna, le mille contraddizioni, le menzogne, i movimenti, le dinamiche, i depistaggi”.
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