3- Processi di trasformazione. Quello che consente di produrre le margarine dagli oli vegetali – e che non è necessario per l’olio di palma, già solido “di suo” – si chiama “idrogenazione”. Nulla di drammatico, per carità, ma alla fine queste margarine risultano essere ricche di grassi idrogenati, e quindi di acidi grassi trans, frutto di questo processo.
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4 – Grassi saturi e idrogenati. Fino a poco tempo fa sentivamo campagne contro l’uso dei grassi idrogenati, adesso dovremmo tornare ad usarli per non usare l’unico prodotto alternativo che ne risulta privo? Milena Gabanelli ha ricordato che questo olio “è un grasso saturo e che vuol dire colesterolo”. Ma anche il burro contiene una gran quantità di grassi saturi, più dell’olio di palma. Sarebbe stato corretto ricordarlo, prima di consigliare ai consumatori di scegliere prodotti a base di burro (o di margarine vegetali ricche di grassi idrogenati).
5 – Due piccoli Paesi. “Quello che sappiamo è che quando due paesi così piccoli come l’Indonesia e la Malesia da soli producono il 90% di tutto l’olio di palma consumato nel mondo è un problema”, ha detto la Gabanelli alla fine del servizio. Piccoli paesi? L’Indonesia è il quarto paese del mondo per popolazione, con i suoi 250 milioni di abitanti, dopo Cina, India e Stati Uniti, e prima del Brasile. In Malesia invece abitano quasi trenta milioni di persone, e si sta rivelando un paese modello nella gestione sostenibile delle foreste. A certificarlo sono gli impegni assunti nelle conferenze internazionali sul clima, e finora sempre rispettati, a mantenere la copertura forestale del paese sopra il 50%. Oggi circa il 60% della Malesia è coperta da foreste.
Insomma, secondo questa tesi, il successo dell’olio di palma risulta insostenibile solo per i produttori delle sue alternative, messi seriamente in difficoltà dalla concorrenza di questo nuovo prodotto.
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