Le ultime notizie diramate dalla Protezione civile parlano di 3.858 persone positive al coronavirus, tra 148 morti e 414 pazienti guariti. Ormai l’emergenza Coronavirus ci riguarda da vicino. Un’intervista esclusiva su Repubblica, rende note le dichiarazioni della dottoressa che ha individuato il paziente 1. Si tratta da Annalisa Malara, anestesista di 38 anni di Cremona, che si trovava nell’ospedale di Codogno, quando è arrivato il paziente 1. La dottoressa racconta come ha vissuto quel momento e quale iter ha dovuto affrontare l’intero team operativo sul caso.
“Quando un malato non risponde alle cure normali, all’Università mi hanno insegnato a non ignorare l’ipotesi peggiore. Mattia si è presentato con una polmonite leggera, ma resistente ad ogni terapia nota. Ho pensato che anch’io, per aiutarlo, dovevo cercare qualcosa di impossibile. Mi sono trovata al posto giusto nel momento giusto, o forse in quello sbagliato nel momento sbagliato”. Annalisa Malara lavora presso lìospedale di Lodigiano e ha raccontato in un’intervista rilasciata a Repubblica, l’intuizione che le ha permesso di individuare, il 21 febbraio, il “paziente uno” nell’ospedale di Codogno. (Continua dopo la foto).
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“Per la prima volta farmaci e cure risultavano inefficaci su una polmonite apparentemente banale. Il mio dovere era guarire quel malato. Per esclusione ho concluso che se il noto falliva, non mi restava che entrare nell’ignoto. Il coronavirus si era nascosto proprio qui”. La storia clinica di Mattia continua ad aggravarsi, perchè l’influenza non passava: “Il 18 è venuto in pronto soccorso a Codogno e le lastre hanno evidenziato una leggera polmonite. Il profilo non autorizzava un ricovero coatto e lui ha preferito tornare a casa. Questione di poche ore: il 19 notte è rientrato e quella polmonite era già gravissima. Quello che vedevo era impossibile. Questo è il passo falso che ha tradito il coronavirus. Giovedì 20, a metà mattina, ho pensato che a quel punto l’impossibile non poteva più essere escluso”. (Continua dopo le foto).
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Arriva l’anamnesi: “Ho chiesto un’altra volta alla moglie se Mattia avesse avuto rapporti riconducibili alla Cina. Le è venuta in mente la cena con un collega, quello poi risultato negativo”. Poi il test del tampone: “Ho dovuto chiedere l’autorizzazione all’ azienda sanitaria. I protocolli italiani non lo giustificavano. Mi è stato detto che se lo ritenevo necessario e me ne assumevo la responsabilità, potevo farlo”. E ancora: “Verso le 12.30 del 20 gennaio i miei colleghi e io abbiamo scelto di fare qualcosa che la prassi non prevedeva. L’obbedienza alle regole mediche è tra le cause che hanno permesso a questo virus di girare indisturbato per settimane. Il tampone di Mattia è partito per l’ospedale Sacco di Milano prima delle 13 di giovedì. La telefonata che confermava il Covid-19 mi è arrivata poco dopo le 20.30. Nel frattempo io e i tre infermieri del reparto abbiamo indossato le protezioni suggerite per il coronavirus. Questo eccesso di prudenza ci ha salvati”. (Continua dopo le foto).
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L’intervista si conclude così: “La fortuna, se insisti, ti aiuta. Se una persona sta male, una causa c’è. Se le cure note non funzionano, devi tentare quelle che non conosci. Il Covid-19 non aveva messo in conto che l’essere umano, pur di sopravvivere, non si rassegna”. Un’intuizione che ha permesso una nuova lettura sui contagi: “Abbiamo guadagnato giorni preziosi per il contrasto all’epidemia. Se anche i cittadini li usano bene, rispettando indicazioni e misure di prevenzione, molti potranno guarire e altri eviteranno il contagio.La responsabilità delle grandi scelte spetta alla politica: che però, in circostanze eccezionali, coincide con l’etica”. La prevenzione da parte di tutti può facilitare il duro lavoro a cui ogni medico è chiamato per contrastare l’avanzata del contagio.
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