L’Italia è profondamente ferita dalla crisi, nelle tasche e nello spirito. Non abbiamo fiducia nel futuro, prevale l’incertezza, mentre non sfruttiamo i nostri talenti e tesori. Siamo e ci sentiamo soli. Non è una bella fotografia quella che esce dal 48esimo rapporto del Censis sulla situazione sociale del Paese. Vediamo, tanto per rimanere allegri, 8 cose che davvero non vanno:
1) Del doman non c’è certezza, abbiamo paura di diventare poveri
Dove la crisi non è arrivata con i suoi effetti più devastanti, come la perdita del lavoro, è riuscita comunque a diffondere paura. Il 60% degli italiani ormai ritiene che a chiunque possa capitare di finire in povertà, e pensando al futuro il 29% prova ansia perché non ha una rete di protezione, il 24% dice di non avere le idee chiare perché tutto è molto incerto, e solo poco più del 17% dichiara di sentirsi abbastanza sicuro e con le spalle coperte. Il risultato è quello che il Censis chiama “un approccio attendista alla vita”, nel quale prevale l’incertezza. Così si spiega che tutte le voci delle attività finanziarie delle famiglie sono diminuite, tranne i contanti e i depositi bancari, un “cash di tutela”, destinato dal 45% delle famiglie a copertura da imprevisti come la disoccupazione o la malattia.(continua dopo la foto)
2) Giovani senza lavoro, “Papà, aiuto”
Agli oltre 3 milioni di disoccupati si sommano quasi 1,8 milioni di inattivi perché scoraggiati. E ci sono 3 milioni di persone che, pur non cercando attivamente un impiego, sarebbero disponibili a lavorare. È un capitale umano non utilizzato di quasi 8 milioni di individui. Quanto a dissipazione del nostro capitale umano, siamo dei campioni. Sul fronte del lavoro i più penalizzati sono i giovani, con i 15-34enni che costituiscono il 50,9% dei disoccupati totali. E i Neet, cioè i 15-29enni che non sono impegnati in percorsi di istruzione o formazione, non hanno un impiego né lo cercano, sono in continua crescita: da 1.832.000 nel 2007 a 2.435.000 nel 2013. Dei circa 4,7 milioni di giovani che vivono da soli, oltre un milione non riesce ad arrivare alla fine del mese e 2,4 milioni ricevono regolarmente o di tanto in tanto un aiuto economico dai propri genitori.
3) La cultura non si mangia
Ci vantiamo (a ragione) del nostro patrimonio culturale, guardando tutto il mondo dalla cima della graduatoria dei siti Unesco. Però continuiamo a sprecare quel tesoro senza renderlo davvero produttivo. Solo 304mila italiani, l’1,3% degli occupati, è impiegato nella cultura, contro i 755mila del Regno Unito e ii 670 mila della Germania. Il settore nel 2013 produceva 15,5 miliardi di euo di valore aggiunto, contro i 35 miliardi di euro della Germania e i 27 della Francia. E i consumi culturali diminuiscono tra il 2010 e il 2013, la quota di chi è ha visitato almeno un museo o una mostra è passata dal 30,1% al 25,9%, per siti archeologici e musei si è scesi dal 23,2% al 20,7% e per gli spettacoli teatrali dal 22,5% al 18,5%.
4) Meridione sempre più indietro
“È grave lo slittamento verso il basso delle grandi città del Sud” scrive il Censis. Il tasso di occupazione dei 25-34enni oscilla tra il 34,2 per cento di Napoli e il 79,3 di Bologna, la quota di persone con titolo di studio universitario passa dall’11,1 per cento di Catania al 20,9 di Milano, gli evasori del canone Rai sono il 58,9 a Napoli ma diminuiscono al 26,8 a Roma, a Bari solo 2,8 bambini di 0-2 anni ogni 100 sono presi in carico dai servizi comunali per l’infanzia contro i 36,7 di Bologna, a Palermo ci sono appena 3,4 metri quadrati di verde urbano per abitante rispetto ai 22,5 bolognesi, la percentuale di raccolta differenziata dei rifiuti si ferma al 10,6 per cento nel capoluogo siciliano mentre arriva al 38,2 per cento nel capoluogo lombardo. (continua dopo la foto)
5) Un popolo di taroccatori (e di taroccati)
Da noi il mercato del falso fattura 6,5 miliardi di euro, soprattutto in abbigliamento e accessori (34,3% del valore), cd, dvd e software (27,3%) e prodotti alimentari (15,8%). Una che ci impoverisce e ci sottrae lavoro. Se quei prodotti fossero realizzati e venduti legalmente avremmo 6,4 miliari di valore aggiunto e potremmo occupare a tempo pieni e con un regolare contratto 105 mila persone. Ci sarebbe inoltre un gettito aggiuntivo per imposte (dirette e indirette) legato alla produzione diretta e iindotta pari a circa 5,3 miliardi di euro.
6) Che solitudine, mi faccio un selfie…
La solitudine, dice il Censis, è ormai una componente strutturale della vita delle persone: il 47% degli italiani dichiara di rimanere solo durante il giorno per una media quotidiana pari a 5 ore e 10 minuti. È come se ognuno di noi vivesse in media 78 giorni di isolamento in un anno, senza la presenza fisica di alcuna altra persona. Perlomeno, ci sono i social: a fronte del 63,5% di italiani che utilizzano internet, gli utenti di Facebook, Twitter ecc. sono il 49% della popolazione e arrivano all’80% tra i giovani di 14-29 anni. “La pratica diffusa del selfie – segnala però il rapporto – è l’evidenza fenomenologica della concezione dei media come specchi introflessi in cui riflettersi narcisisticamente, piuttosto che strumenti attraverso i quali scoprire il mondo e relazionarsi con l’altro da sé”.
7)Scuola antidiluviana
Come vogliamo progredire se le nostre scuole, tecnologicamente parlando, rimangono indietro? Consideriamo, ad esempio, le scuole medie. Per ogni 100 studenti dell’ultimo anno ci sono nelle scuole 8 computer, la media europea è 21. Il 25% frequenta scuole prive di connessione a banda, dato che nell’Ue scende invece al 5%. Solo il 19% può utilizzare ambienti d’apprendimento virtuale, contro il 58% della media europea. I presidi lo sanno e puntano il dito contro il rapido invecchiamento delle dotazioni informatiche, i costi dei collegamenti internet e la carenza di spazi e attrezzature adeguate. (continua dopo la foto)
8)”L’intelligenza non serve, meglio conoscere qualcuno”
Cosa conta per riuscire nella vita? Non c’è da stare allegri se molti italiani indicano ancora cose “buone” come l’istruzione (51%, contro l’82% dei tedeschi) e il lavoro (46%, a fronte del 74% degli inglesi). Ci sarebbe infatti da concentrarsi su quel 29% che vede come fattore chiave “le conoscenze giuste” (indicato solo dal 19% dei britannici) o sul 20% che parla della “provenienza da una famiglia benestante” (5% dei francesi). E l’intelligenza? Non scherziamo, solo il 7% degli italiani, ed è il valore più basso nell’Ue, crede davvero che possa fare la differenza.