I più ricchi sono anche i più restii a mettere mano al portafoglio quando si tratta di fare beneficenza. Avete presente il disneyano Paperon dei Paperoni? Ecco, proprio così. Lo rivela un’analisi dell’Internal Revenue Service, l’agenzia federale del fisco americano. Gli statunitensi che guadagnano più di 200 mila dollari l’anno, nel 2012 hanno speso il 4,6 percento in meno rispetto al 2006 nel campo della beneficenza, mentre coloro che guadagnano tra i 100 e i 200 mila dollari hanno ridotto la quota del 3,3 percento. Al contrario, chi guadagna meno di 100 mila dollari ha contribuito in media con il 4,5 percento in più. Ma il dato più significativo e sorprendente concerne coloro che percepiscono i redditi più bassi, inferiori ai 25 mila euro: questi hanno aumentato i propri aiuti del 16,6 percento.
Nonostante la scarsa generosità dei ricchi, la somma totale da loro donata è maggiore di quella delle altre fasce messe assieme: 77,5 miliardi di dollari contro 57,3 miliardi. Del resto, ciò si può spiegare facilmente: una somma di denaro che a un ricco sembra di modesta o media entità, per un povero sarebbe più che lauta. I dati sono stati spiegati ricorrendo a ragioni psicologiche: i più poveri agiscono con generosità per una sorta di immedesimazione in chi si trova in difficoltà e che spesso appartiene al medesimo ceto. Facendo beneficenza, incoraggiano lo spirito di cooperazione e sperano che un giorno potranno esserne ricambiati, qualora ne avessero bisogno. L’università di Berkeley ha addirittura stabilito che la generosità è un valore che appartiene più ai poveri, che ai ricchi, perché chi non ha molto da perdere tenderebbe a fidarsi di più e la fiducia è indispensabile, quando si dona del denaro a chi non si conosce. In altri termini, al povero manca la paura di perdere tutto.