Quel che resta del pollo, del tacchino o del maiale. È la “carne separata meccanicamente” (CSM) l’ ingrediente pricipale dei wurstel. Soprattutto per le marche più economiche, proviene da resti tutt’altro che nobili: carcasse mutilate e impresentabili “nudi e crude” ai consumatori, che però arrivano sulle nostre tavole sotto forma di gustosi salsicciotti dopo un lungo processo di lavorazione. (continua dopo la foto)
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I resti di carne vengono pressati e tritati, diventando una poltiglia rosa che gli americani chiamano pink slime. Più violenta è la spremitura, maggiore è la quantità di calcio rilasciata dalle ossa dell’animale (sì, ci sono anche quelle) e minore è la qualità della CSM, come si legge in un documento dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare che chiede più chiarezza su questi parametri.
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Ottenuta la pasta rosa, bisogna farla diventare un wurstel. Come? Intanto, raffinandola con un filtraggio, quindi aggiungendo amido e fibre per dargli consistenza, sale e aromi per insaporirla. Poi il composto ottenuto viene insaccato in un budello, cotto, raffreddato e confezionato. Ora è pronto per il supermercato. (continua dopo la foto)
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Tutto qua, ovviamente in estrema sintesi. L’importante è sapere cosa si mangia e preferire la qualità, anche a scapito del prezzo. Quindi occhio all’etichetta, dove devono essere sempre indicati con chiarezza tutti gli ingredienti. Se vi piacciono i wurstel e il tribolato percorso della poltiglia rosa non vi ha impressionato, buon appetito!