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Luoghi comuni, tutto quello che sappiamo sugli “zingari” è falso…

  • Costume

 

Quanti luoghi comuni sui nomadi! Buona parte delle nostre conoscenze sui popoli Rom e Sinti, etnie che definiamo “nomadi” e che più comunemente chiamiamo “zingari” sono false. A svelarlo sono i radicali di Roma, che con un documento sfatano tutti gli stereotipi su queste popolazioni che negli anni si sono diffusi nella società civile.

Come ricorda Today, l’Italia non è piena di “zingari”: nel nostro Paese rom, sinti e camminanti sono circa 170mila, ovvero lo 0,25% della popolazione totale. Ce ne sono molti di più in altri Stati d’Europa: in Grecia sono il 2% e in Spagna 1,8%. In tutta l’Unione europea sono complessivamente il 10% della popolazione, ovvero il 2%. Inoltre, metà di queste popolazioni sono italiani, con tanto di passaporto. Il resto sono per lo più cittadini europei, anche se tra loro ci sono alcuni rifugiati e apolidi, arrivati dai balcani dopo le guerre negli anni ‘90.

 

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Il nomadismo è un fenomeno sempre più marginale, anche tra quelle che noi definiamo popolazioni “nomadi”. Sono 35mila i rom e sinti che abitano nei campi e questo significa che in Italia 4 persone su 5 hanno una casa. Persino l’Ocse ha invitato l’Italia a smettere di chiamarli “nomadi”, anche se per decenni queste popolazioni lo hanno praticato, oramai è del tutto superato. Le politiche che hanno dato vita ai campi sono state dannose e nella società civile hanno generato l’esclusione delle comunità dai vari tessuti urbani. Non è vero neppure che i rom rubino, come una vocazione. E se fosse vero in ogni caso i furti non vengono tollerati. È vero invece il dato sulla loro marginalità: in Italia solo il 6% dei rom arriva al diploma di scuola media o superiore, mentre la media della comunità europea è il 67%.

Dopo le politiche che hanno dato vita ai campi e che hanno generato la segregazione di diverse comunità, non sono state promosse politiche di inclusione scolastica. In Italia il 45% hanno meno di 16 anni e nell’anno scolastico 2012/13 si sono iscritti a scuola 11.481 minori rom, su circa trentamila in obbligo di frequenza, e solo 107 adolescenti risultavano iscritti alla secondaria di secondo grado in tutta Italia. Il 40% della popolazione rom in Italia lavora mentre la percentuale restante subisce le conseguenze delle politiche di segregazione: visto che studiano di meno, avere una qualifica e trovare un lavoro risulta più complicato. Negli altri paesi dell’Unione, in cui sono state sviluppate politiche di aggregazione e inclusione, la media degli occupati rom è del 60%.

Ma in realtà le politiche che hanno dato vita ai campi rom (e alla loro segregazione sociale) ci sono costate eccome: il comune di Roma ha speso circa 24 milioni di euro solo nel 2013. Basterebbe riconvertire le risorse impiegate finora in progetti mirati di inclusione abitativa e sociale rivolti alle famiglie, verso una graduale e progressiva indipendenza economica, a beneficio non solo delle comunità rom, ma di tutti. Progetti che in altri paesi europei sono stati avviati e hanno portato anche a un risparmio da parte degli enti pubblici che li hanno attivati.

Il caso di Madrid lo dimostra: nel 2007, nella capitale vivevano circa 70mila persone rom, di cui 12mila nei campi. A partire dal 2011, il Comune ha deciso di chiudere i campi e di investire in educazione, diventando in pochi anni un modello in tutta Europa. Finora sono stati chiusi 110 insediamenti e 9.000 persone (il 96% delle persone ricollocate) hanno avuto accesso ad alloggi e a percorsi di integrazione.

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