Siamo davvero padroni di scegliere ciò che mangiamo? Altro che km zero. In dieci, controllano più del 70 per cento di ciò che finisce sulle nostre tavole. Si tratta dei colossi dell’industria alimentare mondiale che gestiscono ben 500 marchi, ovvero la stragrande maggioranza dei prodotti che entrano nelle nostre case. Il libero arbitrio, in materia di cibo, sembra quindi ridursi a un’illusione.
Ecco la lista dei dieci signori del piatto, in base al loro fatturato: in pole position c’è la Nestlé con 90,3 miliardi; segue la Pepsicola (66,5); quindi Unilever con 60 miliardi e Mondelez con 55. Incredibile ma vero: la Coca Cola si piazza “solo” quinta con 44. Seguono Danone, Mars, General Mills, Associated British Food e Kellogg’s.
La tendenza alla concentrazione, come riporta oggi La Repubblica, è in atto da tempo e riguarda praticamente tutti i settori alimentari. Eccezioni inevitabili sono prodotti quali il latte e il vino. Già per la birra il discorso cambia: non essendoci il vincolo per la produzione caratterizzato dallo stretto rapporto col territorio, qui la concentrazione si vede, eccome. I tre principali marchi mondiali – i belgi di In Bev, i sudafricani di Sab Miller e gli olandesi di Heineken – da soli controllano il 60% del fatturato globale e l’80% degli utili.
Cosa succede in Italia? Il rischio della concentrazione dei produttori di alimenti qui è meno forte. La società più forte resta la Ferrero con 8,1 miliardi di euro di fatturato annuo, ovvero circa 10 miliardi di dollari (la Kellogg’s ne incassa 13). La Barilla arriva a 3,5 miliardi di euro l’anno. Superano il milairdo solo il gruppo Cremonini, Parmalat, Amadori, Lavazza e Conserve Italia. Ma è anche vero che i prodotti delle dieci multinazionali mondiali riempiono anche gli scaffali dei supermercati italiani.
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