Il divario generazionale è descritto e definito in molti modi diversi, alcuni più empirici di altri. Molte teorie sono speculative piuttosto che dimostrate. “Mi concedo il lusso di averne una anch’io: vorrei indurvi a riflettere sulla grande forza divisoria esercitata dalla dimensione dello schermo. In sintesi: i giovani sono molto a loro agio con uno schermo piccolo e gli anziani no”, propone Paolo Lugiato. “Certo, potete vedere gli uni e gli altri fissare i loro smartphone allo stesso modo per leggere e-mail o indicazioni stradali. Ma c’è una grande differenza generazionale nel consumo culturale”.

Gli Stati Uniti insegnano, sottolinea Paolo Lugiato. Secondo uno studio, l’età media di un telespettatore americano è di circa 56 anni, mentre i fruitori di mobile video hanno un’età media è di 40 anni. E il 40% di loro ha un’età compresa tra i 13 e i 34 anni. Prendete, perciò, YouTube. Le 10 serie televisive più popolari attirano tra i 12 e i 20 milioni di telespettatori per episodio, ma i primi 10 canali YouTube hanno tutti almeno 40 milioni di abbonati.
Non basta. Secondo Wikipedia, ci sono 40 account Instagram con almeno 50 milioni di follower. Instagram è in gran parte un servizio mobile, come YouTube, e oltre due terzi del suo pubblico ha 34 anni o è addirittura più giovane. Ma attenzione!

Proprio come molti anziani non capiscono l’importanza di YouTube, la maggior parte dei giovani snobba il cinema su grande schermo. E la situazione con la musica è analoga. Spotify e (ancora) YouTube sono straordinariamente convenienti, ma offrono una qualità del suono peggiore dei compact disc degli anni ’90 o addirittura di molti dei dischi degli anni ’60 cari agli anziani. Anche in questo caso, la tecnologia consente di ottenere grandi vantaggi in termini di convenienza e ricchezza dell’offerta. Ciò che si sta perdendo è un senso di magnificenza.

La morale, conclude Lugiato, è che è possibile che guarderemo indietro ai giorni nostri come un momento speciale in cui entrambi i modelli di consumo culturale hanno convissuto. “Ma non ne sarei così sicuro. Le esperienze vissute dagli over 50, infatti, vanno svanendo dalla memoria collettiva. E lo shock culturale è forse ben più grande della nostra attuale percezione”.
“Siamo circondati dagli algoritmi”. Paolo Lugiato: “L’impatto su di noi spesso significativo”