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Lutto nel mondo del cinema. Addio al regista “contro”, simbolo di coraggio e impegno civile. I suoi capolavori hanno segnato un’epoca. Era malato da tempo

  • Cinema

 Lutto nel mondo del cinema italiano. E’ morto a Roma il regista Giuseppe Ferrara, simbolo di impegno civile e coraggio intellettuale.Avrebbe compiuto 84 anni a luglio. Malato da tempo, era ricoverato al Policlinico Umberto I. Tra i suoi film Il caso Moro, Cento giorni a Palermo, Giovanni Falcone, I banchieri di Dio: una lunga filmografia, la sua, tutta orientata al cinema di impegno civile e di inchiesta sulla storia italiana. Nel 2013 tutto il mondo del cinema italiano si era mobilitato per sollecitare la concessione del sostegno previsto dalla legge Bacchelli: le condizioni di salute del regista, allora 81enne, erano già non buone così come quelle economiche, aggravate da uno sfratto dall’appartamento in cui viveva. Nato a Castelfiorentino, in provincia di Firenze, il 15 luglio del 1932.

(continua dopo la foto)

 


 

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E’ ancora giovanissimo quando rivela quel carattere contestatario, polemico, che caratterizzerà tutta la sua carriera di autore cinematografico e che alla fine del liceo lo costringerà a sostenere l’esame di maturità fuori sede. Sono gli stessi anni in cui fonda un cineclub nel quale proporre le “novità” del cinema italiano, i film della rivoluzione chiamata Neorealismo. Poi vengono l’università a Firenze, la laurea in Lettere con una tesi sul “Nuovo cinema italiano”, il trasferimento a Roma dove frequenta il Centro sperimentale di cinematografia e dove gira due corti in 16mm, Porto Canale e L’amata alla finestra, che ricevono alcuni riconoscimenti.

Il diploma di regia lo consegue nel 1959 e mentre cerca, a fatiche, stimoli e sbocchi interessanti, viene coinvolto in un progetto dedicato alla Resistenza toscana: nel 1962 gira il documentario Brigata partigiana, in cui racconta le azioni della Brigata “Spartaco Lavagnini” nel senese e nel grossetano mescolando immagini di finzione con materiale di repertorio, quella che in seguito diverrà la sua cifra. Alla fine degli anni Sessanta, scrive Repubblica. lavora per una casa di produzione indipendente di sinistra, nel 1969 fonda la cooperativa “Cine 2000” con l’obiettivo di promuovere e produrre opere bloccate dai condizionamenti dell’industria e del “potere”. E’ l’anno del primo lungometraggio in stile docufilm, Il sasso in bocca.

Il lavoro vuole essere una denuncia della mafia siciliana attraverso la ricostruzione di alcuni avvenimenti della storia dell’isola, la tesi della collaborazione fra mafia italiana e americana, gli intrecci con la politica, la morte di Enrico Mattei. A metà anni Ottanta Ferrara ha in mente un progetto su Calvi e uno sull’attentato a Giovanni Paolo II ma nessuno dei due va in porto, così Ferrara decide di tornare al documentario raccontando la fine della dittatura di Somoza in Nicaragua e il ritorno del paese alla libertà. Dopo le esperienze televisive di P2 Story, inchiesta sulla loggia massonica con a capo Licio Gelli, Il venerabile e Il cinema cos’è, nel 1987 Ferrara torna al documentario con un lavoro sulle vite di giovani killer del narcotraffico colombiano.

Nel 1993 gira A ridosso dei fatti sugli ultimi anni della vita di Giovanni Falcone in cui, accanto alla struttura di fiction, trovano posto inserti documentari . Ferrara nel 2005 porta a termine un progetto che gli sta particolarmente a cuore e al quale dedica grandi energie: Guido che sfidò le Brigate rosse. Il film, girato prevalentemente a Genova, racconta la storia di Guido Rossa, operaio dell’Italsider di Cornigliano, sindacalista della Cgil, ucciso dalle Brigate Rosse in un agguato sotto casa la mattina del 24 gennaio 1979. vittime del terrorismo. Fra i suoi ultimi lavori, Roma nuda, un docufilm dedicato a Franco Califano, mai distribuito.

“Hai fatto ridere sempre tutti ma adesso ci toccherà piangere senza sosta. Non ci posso credere” con questo triste post su Facebook annuncia la morte di un grande comico. Il mondo dello spettacolo in lutto


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