Sono passati 17 anni dalla Strage di Erba. Era l’11 dicembre 2006 quando in uno dei fatti di cronaca più cruenti di questo inizio secolo vennero uccisi a colpi di coltello e spranga Raffaella Castagna, il figlio Youssef Marzouk, la madre Paola Galli e la vicina di casa Valeria Cherubini. Il marito di quest’ultima, Mario Frigerio, colpito con un fendente alla gola e creduto morto dagli assalitori, riuscì a salvarsi grazie ad una malformazione congenita alla carotide che gli evitò la morte per dissanguamento.
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La strage avvenne nell’abitazione di Raffaella Castagna, in una corte ristrutturata nel centro della cittadina. L’appartamento fu dato alle fiamme subito dopo l’esecuzione del delitto. Dell’omicidio vennero ritenuti responsabili Olindo Romano e la moglie Angela Rosa Bazzi condannati in via definitiva all’ergastolo nel 2011. Una storia, tuttavia, tutt’altro che chiusa.
Strage di Erba, Olindo Romano: sono stato obbligato a confessare
Olindo Romano ha infatti concesso un’intervista al settimanale Cronaca Vera raccontando un’altra verità rispetto a quella seguita dal processo. Chiede il giornalista: “Quando ti dissero che Frigerio ti aveva riconosciuto e che sull’auto c’era una traccia di sangue, tu cos’hai pensato?”. E la risposta: “Quando mi dissero che Frigerio mi aveva riconosciuto, era nella fase del “lavaggio del cervello” della confessione”.
E ancora: “Non ci potevo credere, ma mi convincevano che tanto non avrei potuto difendermi e che per salvare almeno Rosa dovevo fare la confessione. Non ho mai pensato che Frigerio ce l’avesse con me. Anche a lui ‘lavaggio del cervello’”. Olindo, riporta il Giornale, sostiene dal 2008 sostiene che gli uomini dell’Arma lo hanno convinto a confessare, promettendogli una liberazione immediata e il ricongiungimento con la moglie.
Qualcosa però nelle parole di Olindo non sembra tornare. Alle domande su come gli fossero venute in mente le risposte da dare quando gli avevano chiesto come avesse colpito una vittima ha risposto: “Più o meno si sapeva che erano state accoltellate e colpite con un oggetto. Non ho raccontato nulla di eccezionale”. E ancora: durante la confessione aveva raccontato dove avesse gettato i vestiti dopo l’omicidio. Risposta: “Era il posto più credibile, perché lavorando come netturbino sapevo i posti dove si potevano buttare tra lì e Como”.