“Santa Claus, sono preoccupato. Non dovresti venire qui sulla tua slitta trainata dalle renne, perché neppure le mosche sopravvivono alle bombe che piovono dal cielo. Ma se deciderai di farlo ugualmente, per favore indossa un cappotto di un altro colore. Qui c’è sangue ovunque, ormai odiamo tutte le sfumature del rosso”. La lettera di Atalla arriva da Damasco. A tirarla fuori da un cassetto è Reeta, uno degli elfi che aiutano Babbo Natale a leggere e catalogare la montagna di posta da tutto il mondo. “Da quando è iniziato il conflitto – spiega – le lettere dalla Siria si sono diradate, non ne riceviamo più di due o tre all’anno. A volte arriva solo la busta affrancata, e ci chiediamo che fine facciano i pensieri e i desideri racchiusi in quelle letterine”. Siamo a Rovaniemi, un paese di cinquantamila abitanti nella Lapponia finlandese. E’ qui il quartier generale di Babbo Natale, dove ogni anno arrivano circa 300 mila visitatori, soprattutto bambini, per incontrarlo, fotografarlo e – se l’emozione non toglie la parola – confidargli all’orecchio i loro desideri. Ma la vera magia di questo posto sta nell’ufficio postale sommerso da scatoloni di lettere indirizzate a lui.
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Dal 1985 a oggi ne sono arrivate oltre 16 milioni da 198 paesi. All’appello mancano soltanto la Corea del Nord e alcune isole dei Caraibi. Una parete dell’ufficio è interamente coperta da cassette che custodiscono le lettere suddivise in base al Paese d’origine. Quella dell’Italia è sovraccarica. “Caro Babbo Natale, vorrei la Barbie attrice – scrive Eleonora, 6 anni -. Ti lascio vicino all’albero il latte con i biscotti. Ma se mi dici qual è il tuo piatto preferito chiederò alla mamma di fartelo trovare”. Le cassette di Iraq, Malawi, Ruanda e Pakistan sono invece semivuote. Mohella scrive da Rawalpindi, provincia del Punjab, proprio dove inizia l’Himalaya. “Ho 19 anni, sono fidanzata da cinque e sto per sposarmi. Il mio futuro marito lavora duro ma vive lontano. Vorrei che lo facessi tornare da me. Caro Santa, vorrei anche venire a trovarti ma sono troppo povera. Spero di incontrarti un giorno”. Jaiza, 12, anni, scrive da Peshawar, la città dove pochi giorni fa in un attacco terroristico hanno perso la vita più di cento bambini della sua età. “Il Pakistan è bellissimo – scrive – Dovresti venire qui, te ne innamoreresti. Tutti ne parlano male ma non è giusto. Le persone cattive ci sono ovunque”.
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Lera, da Ramallah, Palestina, chiede un dono per i suoi genitori: “Quest’anno sono stati buoni e hanno lavorato duro. Puoi regalare loro l’appartamento che hanno sempre sognato? Viviamo lontano dalla nostra famiglia. Vogliamo tornare a casa”. “Sono di Betlemme – scrive Waseem, 12 anni – Vivo nel posto dove Lui è nato. Vorrei che venissi a visitare la sua povera casa su cui è stata costruita una chiesa per pregare e rendergli omaggio. Anche se le vetrine dei negozi sono piene di luci il nostro Natale sarà triste. Abbiamo paura, qui non c’è pace né sicurezza”. La lettera di Nastya, da Kiev, è arrivata a Rovaniemi a fine novembre. “Caro Santa, mio padre lavora ancora a Chernobyl. Ti prego, salva l’Ucraina dalla guerra”. Tutto il mondo in una parete. Così ogni Natale Santa Claus compie il miracolo di unire il Grande Nord con gli angoli più remoti del Pianeta. Malen scrive dalla Cambogia. Di Pol Pot e dei Khmer Rossi forse ne ha sentito parlare dai suoi genitori. Ma a Babbo Natale chiede le stesse cose che chiederebbe un bimbo occidentale. Anzi, di più. “Vorrei uno smartphone, una Lamborghini e un biglietto per un viaggio intorno al mondo. Poi – aggiunge – avrei un’altra cosa da chiederti: non ho mai visto la neve, vorrei un Natale tutto bianco anche qui. Puoi pensarci tu?”.
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