Bella e spietata. Nel film Zero Dark Thirty di Kathryn Bigelow, era Maya: la affidabile, coscienziosa e testarda funzionaria della Cia capace di rintracciare Osama bin Laden nel suo covo. Nella vita reale, la sua identità è stata accuratamente nascosta. Fino ad ora. A seguito della pubblicazione del rapporto controverso del Senato americano sull’uso della tortura da parte della Cia, si è scoperto che Maya esiste davvero. Lei è l’agente A., ha 49 anni, e un curriculm pieno di ombre. Tanto che i media americani l’hanno soprannominata “la regina della tortura”. Mentre il ritratto di lei fatto nel film è quello di un’analista esperta di al-Qaeda, si scopre che nella realtà è molto di più: lunga la serie di errori, e reati, di cui è accusata.
Il suo primo inciampo sarebbe stato nei mesi precedenti gli attentati dell’11 settembre, per non aver passato alla Fbi informazioni importanti su due cittadini arabi, che avrebbero poi partecipato alla strage come dirottatori. Ci sono poi le torture a cui avrebbe sottoposto alcuni sospettati di terrorismo: dal waterboarding, ovvero la simulazione dell’annegamento, alla privazione del sonno. Viene pure accusata di aver scatenato un’indagine su una presunta cellula islamista in Montana. Peccato che l’operazione si basasse su notizie strappate con la tortura e false. Avrebbe inoltre mentito al Congresso Usa quando, chiamata a render conto delle sue azioni, ha dichiarato che i metodi di interrogatorio violento hanno salvato centinaia di vite.
Una verità smentita dal rapporto del Senato, secondo cui la Cia avrebbe ingannato sia senatori sia deputati. Ora per alcuni politici l’agente A. andrebbe processata. Ma altri la difendono, ritenendo indispensabili i metodi usati per la difesa della sicurezza negli Usa.
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