Quel violino, con una Stella di David intarsiata sul retro, ha salvato la vita a un ragazzo 21enne. Apparteneva a Maria, una ebrea di 22 anni che con il fratello Renzo, più giovane di lei appunto di un anno esatto, stava scappando in Svizzera. Ma non arrivarono mai dall’altra parte della frontiera. I tedeschi li catturarono portandoli a Milano e da lì a Verona, dove furono caricati su un treno. Destinazione Auschwitz. Maria istintivamente consegnò il suo violino a Renzo, pensando che un uomo avrebbe avuto più probabilità di salvare se stesso e lo strumento. Così è stato: Maria morì nel lager, mentre il fratello fu liberato dall’Armata Rossa nel gennaio 1945 e tornò in Italia. Aveva con sé il violino, che custodì per altri dodici anni fino al 1957, quando morì.
A riportare la storia è il Corriere della Sera. La vicenda riemerge solo ora grazie a Carlo Alberto Carutti, 91 anni, imprenditore-mecenate, sempre alla ricerca di opere d’arte da salvare. «Da tempo volevo uno strumento che si fosse salvato dall’Olocausto. Un mese fa – racconta – qualcuno mi ha detto di averlo visto nella bottega di un antiquario, a Torino. Mi sono precipitato: era un violino spettacoloso, fabbricato nel 1800 da un liutaio francese. L’ho comprato subito». Incollati sul fondo la scritta (in tedesco) «Inno alla musica che rende liberi» e uno spartito con le note di un motivo. «Credevo fosse un canto liturgico ebraico, ma – continua Carutti – mi sbagliavo. Probabilmente si tratta di una ninna nanna».
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