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Memorie di Adriano, Marguerite Yourcenar

Mi piace stendermi al fianco dei morti per misurarmi con loro: quella sera, paragonai la mia vita a quella di quel gaudente già prossimo alla vecchiaia, che era caduto in quel luogo, trafitto dalle frecce, difeso strenuamente da un amico giovinetto, e pianto da una cortigiana ateniese. La mia giovinezza non aveva preteso il prestigio di quella di Alcibiade: ma la mia varietà eguagliava o sorpassava la sua. Avevo goduto quanto lui, avevo meditato più intensamente, avevo lavorato molto di più; possedevo, come lui, la fortuna singolare d’essere amato. Alcibiade ha sedotto tutti, persino la Storia; tuttavia lasciò dietro di sé cumuli di morti ateniesi abbandonati nelle cave siracusane, una patria vacillante, le divinità dei crocevia scioccamente mutilate dalle sue mani. Io avevo governato un mondo infinitamente più vasto di quello nel quale l’ateniese era vissuto; vi avevo mantenuto la pace; l’avevo attrezzato come una bella imbarcazione per un viaggio che durerà molti secoli; avevo lottato in ogni modo per secondare il senso del divino nell’uomo, senza tuttavia sacrificare a esso l’umano. La mia felicità era il mio compenso.

Marguerite Yourcenar

 



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