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Moncler, il giorno dopo la bufera: le ragioni e i torti

  • Italia

La televisione influenza e il caso Report-Moncler ne è l’evidenza. L’inchiesta di Rai Tre ha spaccato il paese a metà, tra filo oche e filo lusso, oppure tra posizioni a favore delle produzioni a tutti i costi e chi crede che l’economia debba ritrovare una base etica. Il principale campo di battaglia tra le due fazioni è stato inevitabilmente quello telematico, prima ancora dei giornali, al punto da creare hashtag dedicati alla vicenda, anch’essi pro e contro la casa dei noti piumini. La posizione di Report  è netta: noi abbiamo documentato ciò che accade e, a questo punto, l’onore della prova contraria spetterebbe a Moncler.  Ciò che sostiene il programma diretto da Milena Gabanelli è che dietro il lusso ci sia una zona d’ombra parecchio estesa: i grandi marchi, quelli che vendono capi di abbigliamento e accessori a centinaia e migliaia di euro, producono parte delle loro merci in paese che consentono un non rigidissimo controllo sulle condizioni di lavoro. E che, di conseguenza, il prodotto non potrà mai essere “splendidamente made in Italy” se le mani che cuciono e assemblano sono sottopagate e con esperienza artigianale non adeguata. In più, nel caso specifico, ci sarebbe anche un discorso di maltrattamento degli animali, le oche, sottoposte a “spiumaggio” intensivo e senza prudenza alcuna sul benessere degli stessi pennuti.

(continua dopo la foto)


 

Dall’altra parte le ragioni, cioè la replica di Moncler, che ha dato mandato ai propri legali per la tutela dell’onorabilità e della produzione e portafoglio dell’azienda. Perché temendo il boicottaggio gli investitori hanno affossato la casa dei noti piumini facendole perdere in borsa il 4,8 per cento. Moncler ha fatto prontamente sapere che l’azienda “utilizza solo piume di alta qualità, acquistata da fornitori obbligati contrattualmente a garantire il rispetto dei principi a tutela degli animali. L’associazione del nome Moncler a pratiche illegali e vietate dal nostro codice etico, è impropria” Aggiunge che “i nostri fornitori sono obbligati a garantire il rispetto dei principi a tutela degli animali come riportato dal codice etico Moncler e sono situati ad oggi in Francia, Italia e Nord America. Per quanto riguarda la produzione – come comunicato inascoltati a Report – confermiamo che questa avviene in Italia e in Europa. In Italia la produzione avviene in quantità limitate mentre in Europa nei luoghi deputati a reggere la produzione di ingenti volumi con elevato know-how tecnico (che garantisce la migliore qualità riconosciuta a Moncler dai consumatori)”.

Basterà? Forse no perché sul web si è scatenata una guerra al costoso piumino. Voci note e meno note invitano a scegliere altri marchi o comunque a non comprare Moncler. Ed è chiaro che sia i pareri illustri che quelli più anonimi fanno opinione, soprattutto se, senza volerlo, fanno squadra. Contro gli inviti al boicottaggio, non va dimenticato, ci sono coloro che, a questo punto, invitano a fare altrettanto con noti marchi della telefonia. Si legge spesso tra i commenti sui social e sui blog: “Anche la Apple usa materiali realizzati in paesi che non hanno il primato della democrazia e del rispetto dei diritti dei lavoratori, peraltro spesso (parecchio) minorenni”. E ancora: “Anche la benzina e i marchi di moda low cost andrebbero affossati”. Quanto alle delocalizzazioni, poi, altro elemento segnalato da Report  nella faccenda Moncler, dicono i difensori o quasi difensori dell’azienda di Remo Ruffini, ci sarebbe da dirla tutta perché non c’è, forse, una grande azienda (sia lusso o no) che non si avvale di terzisti dell’Europa orientale, del Medio Oriente, dell’Africa settentrionale e dell’Asia profonda.

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