Ha cambiato la storia. E le nostre vite. Ha rivoluzionato il modo di comunicare e anche quello di pensare. Si tratta di Steve Jobs, figlio di un migrante siriano che si trasferì negli Stati Uniti nel 1954. Un siriano come quelli che ora bussano alle porte d’Europa, respinti sul muro ungherese, inghiottiti dal mare o marchiati dalla polizia al confine tra Austria e Repubblica Ceca. E viene da pensare, quanti di questi bambini che ricevono un “no” (per usare un eufemismo) come risposta dall’Occidente ricco e civilizzato possano avere in nuce il seme del genio. Quanti, come il piccolo Alyan diventato simbolo di questa immane tragedia, potrebbero fare grande il mondo e migliorarlo. Di quanti dovremo piangere ancora la scomparsa senza muove un dito.
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