Chi subisce una violenza sessuale e si sottopone a un tampone sperando di dare un volto al suo aggressore non sa che quel materiale, accuratamente conservato per almeno cinque anni in un freezer, viene talvolta gettato tra i rifiuti speciali senza essere analizzato. È quanto succede a Milano secondo un’inchiesta dell’Adnkronos.
Eppure l’analisi preliminare sul tampone raccolto, assicurano alcuni esperti, non supera il costo vivo (per strumentazione e reagenti, ndr.) di 100 euro. Così a finire nella spazzatura, potrebbero essere alcuni dei reperti dei 260 casi registrati quest’anno (fino a inizio maggio, ndr.) o i quasi 800 casi di violenza sessuale del 2014 o gli oltre 740 del 2013. Reperti trasmessi dal centro Svs – Soccorso violenza sessuale e domestica della Mangiagalli – all’Istituto di Medicina legale e qui ben conservati. Nella stanza dei freezer – una decina in tutto – vige la regola della rotazione: i reperti più vecchi fanno spazio ai nuovi plichi imbustati con cura.
La conservazione mediamente non supera i cinque anni per un fenomeno con numeri in crescita: dai circa 250 casi di abusi del 2005, agli oltre 280 nel 2006, ai 340 del 2007 ai quasi 350 del 2008. Il rischio di passaggio dal congelatore ai rifiuti – con relativi costi di smaltimento – vale anche per gli altri reperti: i quasi 330 casi registrati dal centro Svs nel 2009, gli oltre 540 nel 2010, i circa 570 abusi annotati nel 2011, i 655 protocollati nel 2012. Dal 2005 al 2015 sono oltre 5.100 donne che si sono rivolte al centro antiviolenza.
Eppure la legge per la creazione di una banca dati nazionale del Dna esiste dal 2009, da sei anni però mancano i decreti attuativi. Finora chi denuncia viene sottoposto ai controlli, i tamponi vengono eseguiti in ‘doppia copia’ per garantire la riproducibilità dell’esame in caso di processo, ma solo una parte di questo materiale viene davvero analizzato. Una scelta che sarebbe dettata dal fatto che i casi sono stati risolti o archiviati, ma che lascia aperto un interrogativo: perché in Italia manca una banca dati?
Il controllo base del profilo genetico su uno dei campioni – alla caccia del cromosoma Y che identifica il ceppo maschile – permette di avere una prima traccia dell’aggressore e se ha agito altre volte. Un elemento a favore delle indagini senza violazione della privacy. Le analisi delle circa 300 donne che ogni anno il laboratorio si troverebbe a gestire (il dato è inferiore ai casi, chi denuncia tempo dopo la violenza non si sottopone al tampone) non supererebbero il costo di 100mila euro, considerando in media l’esame di tre campioni per ogni caso. Cifra che non trova però tutti d’accordo.
In tutto il mondo – a eccezione dell’Italia – l’analisi del Dna è lo strumento principale di indagine per le violenze sessuali: scelta logica visto che, come per nessun altro reato, l’aggressore entra in contatto con la vittima. L’idea di creare una banca dati del Dna finora non ha avuto fortuna. Le spese di giustizia ammontano a oltre 29 milioni a Milano nel 2013, più di 18 milioni l’importo per le intercettazioni, quasi 66.000 euro la somma per il toner delle stampanti.
Caffeina news by AdnKronos
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