È indubbiamente il momento delle pensioni e non solo per le conseguenze della recente sentenza della Corte costituzionale sulla legge Fornero. Questa, semmai, è l’occasione per invogliare il legislatore a una riforma che sia sostenibile negli anni. E, difatti, è l’intenzione del governo. Lo ha spiegato ieri Matteo Renzi, in questo modo: “Se una donna a 62 anni preferisce stare con il nipotino rinunciando 20-30 euro ma magari risparmiando di baby sitter, bisognerà trovare le modalità per cui, sempre con attenzione ai denari, si possa permettere a questa nonna di andarsi a godere i nipotini”.
Il governo si prepara dunque a rivedere le norme della legge Fornero, introducendo quella che tecnicamente si chiama flessibilità in uscita. Sul tavolo del governo ci sono diverse proposte. Anche l’Inps ne sta elaborando una che sarà pronta tra qualche settimana. Ma, stando alle parole di Renzi, una cosa sembrerebbe assodata: l’uscita anticipata potrebbe avvenire a 62 anni.
Intanto, in parlamento giacciono diverse proposte di legge, molte delle quali prevedono una flessibilità in uscita tra i 62 e i 66 anni. Ovviamente a 66 anni si prenderebbe la pensione piena, mentre per ogni anno di anticipo ci sarebbe un taglio del 2% dell’assegno. Significa che a 62 anni ci si potrebbe ritirare con una pensione più bassa dell’8%. Il problema di questa proposta sono i costi. Secondo gli estensori, il progetto costerebbe solo 4 miliardi di euro sugli 80 miliardi che secondo la Ragioneria generale dello Stato la legge Fornero fa risparmiare con il suo allungamento dell’età.
Secondo l’Inps, invece, l’uscita a 62 anni costerebbe 45 miliardi di euro. Ma per il governo questa proposta potrebbe essere solo un punto di partenza e i meccanismi di “penalizzazione” potrebbero essere diversi. Si agirebbe sulla parte retributiva dell’assegno, quella cioè legata non ai contributi versati ma agli ultimi stipendi incassati. In questo modo si andrebbe incontro anche alle sollecitazioni di Boeri. Il presidente dell’Inps da tempo chiede che le pensioni, almeno quelle più elevate, siano calcolate completamente con il metodo contributivo. In questo caso il taglio della pensione va dal 25% al 35%, ragion per cui in poche hanno scelto di usufruirne. Questa via, insomma, sarebbe più sostenibile da un punto di vista finanziario, ma poco accattivante per la misura del taglio che l’assegno pensionistico subirebbe.
C’è poi una terza ipotesi sul tappeto, alla quale aveva lavorato l’ex ministro del lavoro, Enrico Giovannini: il prestito pensionistico. Un meccanismo che prevede di lasciare il lavoro ottenendo un anticipo della pensione da restituire nel tempo a rate.
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