Nel momento in cui si è diffusa la notizia della decapitazione del giornalista americano James Foley da parte dei combattenti dell’Isis forte è stata la curiosità di molti. Semplici utenti della Rete, giornalisti, analisti di affari esteri, tutti alla ricerca delle immagini dell’attimo in cui la testa del prigioniero veniva giù. Curiosità, però, spenta dai gestori di Youtube in ossequio alle policy che governano il sito di condivisione video. Una decisione sbagliata? È un limite al diritto di informarsi? Forse no. Perché se il giornalismo ha il dovere sociale di informare con correttezza e veridicità, è anche importante che non sconfini nella spettacolarizzazione di morte, dolore e crudeltà. È un dibattito sempre forte, soprattutto nei paesi a democrazia avanzata. Perché, a nostro parere, un conto è descrivere il modo in cui operano presunti “liberatori” delle terre arabe, senza omettere dettaglio alcuno. Altro conto è turbare, cavalcando la follia e appagando la fame di macabro. Che è sempre tanta.